L’odore migliore è quello del pane, il gusto migliore, quello del sale, il miglior amore, quello dei bambini. (Graham Greene)
Ho avuto modo di incontrare alcuni genitori
preoccupati perché il loro figlio aveva una forte ostinazione a voler mangiare
solo determinati cibi, evitando tutti gli altri.
Ricordo Marco (nome di fantasia), un bambino di 6 anni che mangiava pasta
(rigorosamente in bianco), bistecca (molto cotta) e qualche alimento dolce a
colazione. Nient’altro. La mamma racconta che sin da piccolo aveva mostrato
chiari segnali di preferenza sul cibo e, nonostante i vari tentativi di
ampliare le scelte da parte dei genitori, Marco manteneva strenuamente la sua
rotta. Il problema si era presentato con l’inizio della scuola primaria: quando
infatti in mensa i suoi cibi non erano disponibili, non mangiava. Quando ho
incontrato i genitori, Marco era dimagrito e aveva fatto richiesta di non
mangiare più a scuola, cosa non possibile perché i genitori lavoravano. L’obiettivo è stato quello di aiutare i
genitori ad aiutare Marco a fare in modo di sbloccare la sua resistenza
verso i cibi “nuovi”. Ho lavorato quindi
con i genitori, dando loro alcune indicazioni che hanno portato, in poche
settimane, allo sblocco del problema e dopo alla risoluzione. Spesso accade
che in queste circostanze il bambino si senta “pressato” quotidianamente da
richieste sul mangiare, da spiegazioni sull’importanza di provare a variare il
cibo, fino in alcuni casi alla punizione perché non segue le indicazioni.
Il rischio, in realtà, è che questi tentativi
spesso producono un effetto inverso, ovvero possono rinforzare il comportamento
del bambino e di conseguenza, si accentua la frustrazione degli adulti a scuola
(insegnanti e collaboratori) e a casa (genitori).
In prima battuta ho suggerito di osservare senza intervenire (Nardone, 1998), ovvero interrompere
tutte le abituali richieste di mangiare che comunque fino a quel momento non
avevano sortito alcun effetto. Questa indicazione spesso sortisce i primi
effetti già dopo pochi giorni, proprio perché viene cambiata la modalità di
interazione che precedentemente portava il bambino e i genitori a continui
scontri e rimproveri, lasciando un clima più disteso e conviviale durante i
pasti.
A questo punto ho suggerito di proporre qualche piccolo benefico boicottaggio, come ad
esempio mettere un po’ meno cibo “preferito” nel piatto di Marco e proponendo a
tavola alcune pietanze che, a detta dei genitori, in passato erano piaciute a
seguito di forzati assaggi, ma che poi successivamente non aveva più voluto.
Quindi nuovi profumi, colori e sapori, senza
proporli direttamente a Marco. Anzi, li avrebbero dovuti gustare loro stessi
mostrandosi contenti di quello che mangiavano. Dopo qualche tempo, Marco ha
iniziato a fare qualche spontaneo timido assaggio, guardando di sottecchi le
reazioni dei genitori. Non vedendone (frustrazione
del sintomo), un po’ alla volta ha voluto provare sempre più quantità nel
suo piatto, fino ad arrivare ad aumentare poco alla volta le sue scelte. In
pratica, cambiando la modalità con cui i genitori e Marco affrontavano lo
spinoso argomento del cibo, poco alla volta è cambiata la sua percezione
rispetto al momento dei pasti.
Da “motivo di conflitto” a “momento piacevole in cui stare insieme in famiglia”. Solo quando si è consolidato a casa questo comportamento, Marco ha iniziato a mangiare anche in mensa con i suoi compagni.
Commenti
Posta un commento